domanda basilare sulla tensione

la tensione viene definita come lavoro svolto dal campo elettrico sull'unit=E0 di carica. Ci=F2 presuppone che quando c'=E8 una tensione esiste anche un campo elettrico (in effetti questo ragionamento fila). Tuttavia la definizione introduce il concetto di energia specifica per la carica, quindi tradotto in soldoni significa che con 10 V le singole cariche possiedono una determinata energia, con 20 V le stesse cariche possiedono energia doppia. Come viene accumulata questa energia? Soprattutto, come cambia il processo di generazione dei 10V rispetto ai

20V? Qual =E8 la differenza?
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tivma
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tivma ha scritto:

Ciao,

non sono sicuro di aver capito il senso della domanda. Ti dico due cosine a braccio, nella speranza che c'entrino col tipo ti domande che ti stai ponendo.

All'inizio, era la carica :) La proprietà posseduta da alcuni oggetti di attrarre o respingerne altri, viene identificata con lo stato "carico". Un modo estremamente elegante e produttivo di trattare questi fenomeni è il concetto di campo elettrico. Legato a doppio filo con quello di "carica", il campo elettrico trasferisce, se vogliamo, l'attenzione dagli oggetti "generatori" (le cariche, appunto) allo *spazio* circostante, la dove le cariche sono in grado di influenzarne altre. Ancorché algoritmicamente diverso, la conoscenza della quantità di carica e della sua distribuzione nello spazio, è in tutto e per tutto equivalente al conoscere, ancora in tutto lo spazio, questa nuova entità detta "campo elettrico". Per questo ti torna cosi bene che, se c'è un campo, devono esserci da qualche parte delle cariche che lo generano. Si dice anche che "le cariche sono le sorgenti del campo elettrico".

Però anche se equivalenti dal punto di vista dell'"informazione", i due approcci spingono verso strade differenti. L'idea del campo porta a "disinteressarsi" delle cariche che lo generano, ed a studiare invece cosa succede ad *altre* cariche che in quel campo si trovino ad agire. Nota bene infatti che il classico presupposto per tanti ragionamenti "elementari" di fisica è che tu hai delle cariche "di prova" immerse in un campo, e studi cosa capita loro. Le cariche di prova NON perturbano il campo iniziale, ossia non interagiscono con le cariche che lo hanno creato. Cioè, ci disinteressiamo di quale sia l'effettiva configurazione che crea un certo campo, la diamo per buona, e "immutabile".

E veniamo al potenziale. Questo è un altro passo avanti, e se il campo mi dà verso direzione e modulo della forza che la mia "carica di prova" sente, il potenziale mi dice la quantità di lavoro che il campo *effettua* sulla mia carica campione.

Una ddp di 10V tra due punti A e B, significa che una carica q, nel passare da A a B riceverà un lavoro pari a 10*q V*C. Una carica 2q riceverà dal campo una quantità di lavoro doppia, e così via. Nota che le cariche che danno luogo al campo, che dà luogo alla ddp, non entrano per niente nella scena. Ti basta sapere che - da qualche parte - ci sono cariche tali per generare questa ddp. Certo, questo sistema di cariche avrà una certa ENERGIA associata alla loro - indovina un po' - carica e distribuzione nello spazio, ma considerare il potenziale come funzione dello spazio è ciò che fai proprio per disinteressarti della distribuzione di cariche che l'ha generato.

Detto in altra maniera, il fatto che tra A e B ci siano 10V *non* individua in maniera univoca una distribuzione di cariche che la genera. In questo senso, non è corretto dire che "se con 10V le cariche hanno una certa energia, con 20V ne avranno una doppia...dove si accumula?". I 10V si riferiscono NON alle cariche generatrici, ma a quelle che si trovano ad passare tra i due punti tra cui è stabilita la tua ddp.

Ora, sinceramente non so se ti ho confuso le idee, se sono andato completamente fuori tema, o se ci ho preso almeno un pochino. Non contento, voglio dirti un'altra cosa: se il problema che studi è del tipo "abbiamo un certo campo: cosa succede alle cariche che ci sguazzano in mezzo?", allora vale ciò che ti ho detto, ci si disinteressa delle sorgenti. In altri casi, ovviamente, le cose non stanno così. Per esempio se devi calcolare l'*energia* di un sistema di cariche, allora devi considerare l'influenza di quelle che arrivano dopo su quelle che già ci stavano :) (anche se non lo fai esplicitamente, è questo il ragionamento che sta dietro alla formula che si utilizza). Per esempio, affrontando il tema della capacità di un sistema di conduttori, ci si trova proprio a valutare come si ridistribuisce la carica, sulla superficie di questi conduttori, ogni volta che "ne aggiungo un pizzico". Questo pizzico non è più "di prova", come nell'altro caso, e invece di lasciare tutto inalterato, interagisce con le altre cariche e ne modifica l'assetto (dunque cambia il campo, il potenziale, l'energia).

M
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(Guglielmo Da Ockham)

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Michele Ancis

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